Il pane toscano
di Brenda Bimbi
Parlare del pane significa parlare di una parte fondamentale della cultura toscana, quella che affonda le radici nella civiltà contadina, nelle famiglie di ognuno di noi, nella nostra infanzia e indietro nel tempo fino addirittura a Dante Alighieri che lo cita nella Divina Commedia.
Impossibile per me non pensare ai miei nonni: il mio bisnonno aveva un mulino a acqua su un piccolo fiume nei dintorni di Firenze, la Greve, dove lavoravano anche i fratelli e i cugini di mia nonna, mentre mio nonno faceva il fornaio. Così quando ero piccola vedevo sempre questi uomini che tornavano a casa infarinati e profumati, lasciando con i piedi orme bianche sul pavimento che le solerti donne di casa si affrettavano a ripulire.
Il pane toscano è senza sale
Farina di grano tenero 0, acqua e lievito naturale: sono solo questi gli ingredienti del pane toscano, la cui caratteristica principale, che lo rende diverso da tutti gli altri pani italiani, è quella di essere senza sale. A chi non è abituato all’inizio non piace ma per noi toscani è perfetto così, e ne andiamo orgogliosi. Le ragioni per questa unicità (ha ottenuto il riconoscimento D.O.P., Denominazione di Origine Protetta che ne protegge la qualità e la provenienza) sono tuttora discusse e sicuramente devono essere cercate nella storia. C’è chi le collega al prezzo alto del sale e alle tasse che Pisa applicava a tutte le merci in transito sull’Arno verso Firenze, sale compreso ovviamente: il pane, che era alla base dell’alimentazione quotidiana, doveva rimanere accessibile anche ai più poveri e così in città abbiamo cominciato a farlo senza sale. Un’altra ragione pare sia dovuta invece al fatto che la cucina toscana è molto saporita. Nel medioevo per la conservazione degli alimenti e per nascondere talvolta l’odore della carne poco fresca, si faceva larghissimo uso di pepe e di altre spezie: accompagnare questi piatti con del pane salato significherebbe non riuscire a saziare la sete.
E proprio alla mancanza del sale fa riferimento Dante nella Divina Commedia (Paradiso XVII, 58-60):
“Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e com’è duro calle
lo scender e ‘l salire per l’altrui scale”
La merenda
Inevitabile tornare alle memorie d’infanzia, perché la merenda che oggi i bambini consumano a base di snack confezionati, ai miei tempi (e a dirlo sembrano passati anni luce!) si faceva con il pane. Mia nonna se lo appoggiava addosso, su un canovaccio, e lo tagliava a fette grosse con il coltello verso il grembo. Poi sistemava le fette in un piatto e le condiva. Come? La merenda più classica era il semplice pane con l’olio, dove l’olio era naturalmente un buonissimo extravergine di oliva toscano e d’estate poteva essere arricchito con il pomodoro. Se poi il pane era leggermente tostato e insaporito con l’aglio crudo sfregato sopra, ecco che cambiava nome e diventava fettunta (o bruschetta). Un’altra bontà era il pane burro e acciughe: impensabile mangiarlo con il pane salato! Quando invece volevo mangiare qualcosa di dolce, mi preparava pane burro e zucchero oppure (cosa che oggi nessun genitore si sognerebbe più di fare!) pane zucchero e vino. Tutto questo all’uscita dalla scuola, nel pomeriggio.
Alcuni piatti toscani a base di pane
Ovviamente non solo la merenda è a base di pane. Moltissimi piatti della tradizione toscana vedono il pane, spesso raffermo, cioè non più fresco, come ingrediente base.
Tipicamente estiva è la panzanella, si mangia fredda e si prepara con pane bagnato in acqua poi strizzato e fatto a pezzi, cipolla cruda e olio d’oliva; questa almeno era la ricetta originale, fatta con gli avanzi della tavola, alla quale sono stati poi aggiunti anche i pomodori.
Anche la pappa al pomodoro è un piatto dell’estate ma si prepara mettendo sul fuoco il pane, sempre raffermo, con i pomodori fiorentini ben maturi, aglio, sale, olio d’oliva e basilico. Si mangia calda ma è buonissima anche fredda.
La ribollita invece è invernale: oltre al pane ci troviamo il cavolo nero e i fagioli.
Per i giorni di festa, le fette di pane raffermo bagnate nel brodo facevano da base per i crostini con i fegatini di pollo, uno dei miei piatti preferiti, immancabili ancora oggi sulle tavole di Firenze di pranzi e cene importanti.
Il fatto di essere senza sale, rende possibile usare il pane toscano anche per la preparazione di dolci. La schiacciata con l’uva, ad esempio, si prepara nel periodo della vendemmia, cioè quando si raccoglie l’uva per il vino. La pasta del pane viene lavorata in una forma rettangolare bassa, abbondantemente arricchita di uva, spolverata di zucchero e messa in forno: ne esce una vera bontà, con il succo dell’uva che cola e le mani che diventano appiccicose.
Legato al periodo di Pasqua è invece il pan di ramerino. Ramerino è la parola fiorentina per rosmarino e oltre a questa profumatissima pianta, nella pasta di pane viene aggiunta l’uvetta e lo zucchero.
La sacralità del pane
Insomma, sulla tavola toscana può mancare tutto, ma non il pane, utilissimo anche per fare la scarpetta, cioè per pulire il piatto dagli intingoli che restano dopo aver mangiato pietanze ben condite.
Una delle prime cose che si insegnano in famiglia è che il pane non si butta: se ne avanzava un pezzetto alla fine del pasto, mio nonno lo mangiava anche con la frutta, oppure inzuppato nel vino. Forse quando non c’era così tanta abbondanza nel mondo occidentale, il rispetto per il cibo era maggiore, ma c’è da dire anche che il pane rappresenta un simbolo religioso molto forte, il corpo di Cristo, e per questo ogni spreco è ritenuto un sacrilegio.
Non solo, il pane sulla tavola non deve mai essere capovolto. Mia nonna diceva che portava sfortuna e ho sempre pensato che fosse comunque legato alla questione religiosa, ma pare che ci siano anche ragioni storiche. Nel medioevo il boia era una figura temuta, necessaria all’apparato legislativo del tempo ma non sempre rispettata: anche se non era lui che decideva chi mandare al patibolo, era sua la mano che portava la morte e quando andava a comprare il pane, i fornai glielo consegnavano capovolto, proprio in segno di spregio.
I modi di dire
La centralità del pane lo rende protagonista anche di alcuni modi di dire. Quando affermiamo che qualcuno è buono come il pane o è un pezzo di pane, ci riferiamo alla bontà d’animo e alla purezza d’intenti di quella persona.
Un pan perso invece è un lavoro sprecato, una fatica inutile che non ci fa ottenere quello che speravamo.
Una persona sempre sincera invece dice pane al pane e vino al vino, senza troppi giri di parole, chiama le cose con il suo vero nome.
La preparazione
La preparazione del pane toscano DOP segue regole ben precise che ne salvaguardano il sapore, la consistenza, il colore, gli ingredienti.
Richiede giorni di lavorazione e una lievitazione lenta: qualcuno, come la mia amica Rita, lo fa ancora in casa, curando il lievito madre ogni giorno, ma i ritmi di oggi certamente non lo rendono un compito facile.
Un tempo invece, soprattutto nelle campagne, era comunissimo, tanto che esisteva un mobile, la madia, destinato proprio alla preparazione e alla conservazione del pane.
Per la ricetta rimando a questo link, ma naturalmente sul web se ne trovano altre. http://cucina.corriere.it/fudweek/toscana/16_aprile_07/pane-toscano-lievitazione-naturale-marchio-cpt-consorzio-pane-toscano_c0ecbe02-fc99-11e5-9628-57573544d3d4.shtml